
Il delitto di Racale: non solo cronaca, ma grido sociale
Quando un ragazzo di 21 anni uccide sua madre con un’ascia, come accaduto a Racale, la cronaca nera si tinge di una disperazione più profonda. La criminologa e pedagogista Antonella Cortese non guarda solo al gesto, ma alla sua radice emotiva e sociale: “Non si uccide la madre senza aver ucciso prima qualcosa dentro di sé.”
Il fatto scuote le coscienze non solo per la brutalità, ma per ciò che rappresenta: una frattura educativa, un fallimento nel riconoscere i segnali silenziosi del disagio.
Frustrazione, silenzio, rabbia: quando l’educazione manca
Cortese ci invita a ripensare all’adolescente che è stato quel figlio: educato alla prestazione, ma non alla fatica emotiva. Non sapere gestire un “no”, la solitudine o la frustrazione porta ad accumulare una rabbia muta, silenziosa, che nel tempo diventa veleno.
Non si tratta di un gesto improvviso. È l’esito finale di centinaia di segnali ignorati, di parole non dette, di relazioni non curate. La madre uccisa diventa il simbolo di un bene distorto, spesso coincidente con la cancellazione del conflitto.
Famiglie fragili, padri assenti, figli invisibili
Le parole di Cortese pungono e illuminano: “Quante madri crescono figli soli? Quanti padri sono presenti solo nel cognome?” Siamo dentro una crisi relazionale profonda, dove si finge che vada tutto bene, mentre la tensione monta nei silenzi.
Il figlio che uccide la madre non è solo autore di un crimine, ma vittima di un panico relazionale, della simbiosi estrema che cancella l’identità. Uccidere diventa un gesto disperato di separazione non riuscita.
Pedagogia del limite: una proposta per il futuro
Di fronte a tanta oscurità, Antonella Cortese propone una luce: una nuova visione educativa che chiama “pedagogia del limite emotivo”. Non un ritorno all’autoritarismo, ma un’educazione che insegni a dire “ho paura”, che legittimi la rabbia senza lasciarle il potere di distruggere.
“Insegniamo che perdere non significa essere perduti. Che un ‘no’ può essere amore.”
Una pedagogia che dia cittadinanza alle emozioni, che renda la scuola e la famiglia luoghi di ascolto autentico, dove il dolore non venga represso, ma accolto e trasformato.
Uno spartiacque culturale da non ignorare
Il delitto di Racale non può essere solo archiviato tra le pagine della cronaca. È uno spartiacque, un segnale. Possiamo scegliere se rimanere ciechi o aprire gli occhi. Possiamo decidere di ascoltare, davvero, i segnali deboli prima che diventino urla.
Cortese ci chiede coraggio: parlare di famiglie non perfette, di figli non solo problematici, ma silenziosi, adattati, invisibili.
Educare all’empatia è possibile
Questo caso ci obbliga a riflettere. Ma può anche essere l’inizio di un cambiamento. Se accettiamo che il disagio esiste, anche quando tace. Se iniziamo a vedere l’educazione non come controllo, ma come relazione.
La “pedagogia del limite emotivo” può diventare la nuova frontiera per una società che ha il coraggio di ascoltare, prima che sia troppo tardi.
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