BlacKKKlansman: la recensione del film di Spike Lee

blackkklansman
Print Friendly, PDF & Email
Durata della lettura: 3 Minuti

Con la recensione di BlacKKKlansman, film diretto da Spike Lee, inauguriamo, per la rubrica Anniversari, il black history month.

BlacKKKlansman: un poliziotto nero all’interno del KKK

Anni ’70. Colorado Springs. Ron Stallworth (un carismatico John David Washington) è il primo poliziotto afroamericano della città. Scelto come agente sotto copertura per infiltrarsi in un comizio studentesco, ascolterà le teorie rivoluzionarie di Kwame Ture, portatore dei valori del black power e della ribellione dei neri contro i bianchi. Quest’incontro segnerà una svolta per il protagonista, un vero e proprio risveglio politico.

Il film è tratto dal libro del vero Ron Stallworth e racconta la sua impresa: infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Infatti, dopo essere stato trasferito all’intelligence, Ron inizia, quasi per caso, a monitorare le azioni del KKK, fingendosi un bianco. Nelle conversazioni telefoniche, esilaranti e infarcite di ogni tipo di commenti razzisti, è lui stesso a parlare con i membri dell’organizzazione, tra cui il Gran Maestro dell’Ordine e presidente generale, David Duke (Topher Grace); invece, alle riunioni si presenta il collega Flip Zimmerman (Adam Driver), ebreo che si finge un bianco protestante.

Blackkklansman – l’America di ieri e di oggi

Lo stratagemma riesce anche grazie alla bravura di Washington e Driver e alla complicità e sincronia delle loro battute durante tutto il film. Tuttavia, al di là scambi di ruolo e della comicità, Spike Lee offre un ritratto amaro e inquietante dell’America di ieri (e anche di oggi).

Il “riformato” KKK è una moderna organizzazione, che vuole presentarsi come una forza politica legittimata, in completi eleganti. Se non fosse che la sostanza è la stessa, alla base c’è sempre l’odio verso chiunque non sia bianco, etero e cristiano. I suoi personaggi sono caricature, villain macchiettisti che parlano con slogan come “Fare di nuovo grande l’America” o “Prima gli americani”. Slogan familiari, perché pronunciati dall’ex Presidente americano, Donald Trump, e dai suoi sostenitori.

Fa commuovere e riflettere la scena in cui da un lato una riunione studentesca ascolta il racconto della morte di Jesse Washington, trucidato e torturato nel 1916, uno degli episodi più violenti nella storia dell’odio razziale, dall’altro i membri del clan guardano divertiti ed entusiasti “Nascita di una nazione” di Griffith, un film che ha gettato le basi per la rinascita del KKK e che fu proiettato alla Casa Bianca dall’allora presidente Thomas Wilson, eletto al suon di slogan come “America first” e con il quale iniziò una nuova segregazione razziale.

Ora, come allora, nulla sembra essere cambiato, c’è un filo che percorre l’intero secolo, un filo difficile da spezzare. Nel finale del film si intrecciano ancora passato e presente con i filmati dei linciaggi di Charlottesville dell’estate del 2017. In sottofondo risuonano le note di “Mary don’t you weep”, un antico spiritual di inizio ‘900, che incita alla libertà e fu uno degli inni del movimento dei diritti civili durante la Guerra civile Americana.

BlacKKKlansman acquista ancora più valore, oggi, dopo l’omicidio di George Floyd, di Breonna Taylor e di tutti gli afro-americani che hanno perso la vita e la perdono, a causa dell’odio raziale. Oggi più che mai, è fondamentale abbattere barriere e pregiudizi, evitando di nascondersi dietro la dittatura del ‘politically correct’, totalmente inesistente.

Perché, oggi come allora, Black lives matter.

Author: Maria Castaldo

Maria nasce a Napoli nel 1993. Appassionata di libri e cinema fin da bambina, si laurea in Lettere Classiche e Filologia Classica alla Federico II di Napoli e inizia un Master in Critica Giornalistica. Ama scrivere, leggere e guardare film e serie tv e ha trovato il modo di unire le sue passioni con il giornalismo culturale.