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Con la recensione di BlacKKKlansman, film diretto da Spike Lee, inauguriamo, per la rubrica Anniversari, il black history month.
BlacKKKlansman: un poliziotto nero all’interno del KKK
Anni ’70. Colorado Springs. Ron Stallworth (un carismatico John David Washington) è il primo poliziotto afroamericano della città. Scelto come agente sotto copertura per infiltrarsi in un comizio studentesco, ascolterà le teorie rivoluzionarie di Kwame Ture, portatore dei valori del black power e della ribellione dei neri contro i bianchi. Quest’incontro segnerà una svolta per il protagonista, un vero e proprio risveglio politico.
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Il film è tratto dal libro del vero Ron Stallworth e racconta la sua impresa: infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Infatti, dopo essere stato trasferito all’intelligence, Ron inizia, quasi per caso, a monitorare le azioni del KKK, fingendosi un bianco. Nelle conversazioni telefoniche, esilaranti e infarcite di ogni tipo di commenti razzisti, è lui stesso a parlare con i membri dell’organizzazione, tra cui il Gran Maestro dell’Ordine e presidente generale, David Duke (Topher Grace); invece, alle riunioni si presenta il collega Flip Zimmerman (Adam Driver), ebreo che si finge un bianco protestante.
Blackkklansman – l’America di ieri e di oggi
Lo stratagemma riesce anche grazie alla bravura di Washington e Driver e alla complicità e sincronia delle loro battute durante tutto il film. Tuttavia, al di là scambi di ruolo e della comicità, Spike Lee offre un ritratto amaro e inquietante dell’America di ieri (e anche di oggi).
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Il “riformato” KKK è una moderna organizzazione, che vuole presentarsi come una forza politica legittimata, in completi eleganti. Se non fosse che la sostanza è la stessa, alla base c’è sempre l’odio verso chiunque non sia bianco, etero e cristiano. I suoi personaggi sono caricature, villain macchiettisti che parlano con slogan come “Fare di nuovo grande l’America” o “Prima gli americani”. Slogan familiari, perché pronunciati dall’ex Presidente americano, Donald Trump, e dai suoi sostenitori.
Fa commuovere e riflettere la scena in cui da un lato una riunione studentesca ascolta il racconto della morte di Jesse Washington, trucidato e torturato nel 1916, uno degli episodi più violenti nella storia dell’odio razziale, dall’altro i membri del clan guardano divertiti ed entusiasti “Nascita di una nazione” di Griffith, un film che ha gettato le basi per la rinascita del KKK e che fu proiettato alla Casa Bianca dall’allora presidente Thomas Wilson, eletto al suon di slogan come “America first” e con il quale iniziò una nuova segregazione razziale.
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Ora, come allora, nulla sembra essere cambiato, c’è un filo che percorre l’intero secolo, un filo difficile da spezzare. Nel finale del film si intrecciano ancora passato e presente con i filmati dei linciaggi di Charlottesville dell’estate del 2017. In sottofondo risuonano le note di “Mary don’t you weep”, un antico spiritual di inizio ‘900, che incita alla libertà e fu uno degli inni del movimento dei diritti civili durante la Guerra civile Americana.
BlacKKKlansman acquista ancora più valore, oggi, dopo l’omicidio di George Floyd, di Breonna Taylor e di tutti gli afro-americani che hanno perso la vita e la perdono, a causa dell’odio raziale. Oggi più che mai, è fondamentale abbattere barriere e pregiudizi, evitando di nascondersi dietro la dittatura del ‘politically correct’, totalmente inesistente.
Perché, oggi come allora, Black lives matter.
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