Vangelo e Meditazione della XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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Vangelo e Meditazione della XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C a cura di Don Giacomo Equestre

Post in breve

Vangelo secondo Luca 18, 9-14

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».  

Parola del Signore

Meditazione

Due uomini vanno al tempio a pregare. Uno, ritto in piedi, prega ma come rivolto a se stesso: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri…».

Inizia con le parole giuste  … parole di lode e ringraziamento. Ma mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è centrato su se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago.

Ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Pregare è dare del tu a Dio.

«Io non sono come gli altri»: e il mondo gli appare come un covo di ladri, dediti alla rapina, al sesso, all’imbroglio.

Carissimi, non si può pregare e disprezzare, non si può lodare Dio e demonizzare i suoi figli.

In questa parabola, Gesù ha il coraggio di denunciare che la preghiera può separarci da Dio, può renderci “atei”, mettendoci in relazione con un Dio che non esiste, che è solo una proiezione di noi stessi.

Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull’uomo, su noi stessi, sulla storia, sul mondo.

Il pubblicano ci insegna a non sbagliarci su Dio e su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, (tu) abbi pietà di me peccatore».

C’è una piccola parola che cambia tutto nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu».

Parola cardine del mondo: «Signore, tu abbi pietà».

E mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno…), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: un io e un tu entrano in relazione.

Il pubblicano è perdonato non perché migliore o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l’umiltà), ma perché si apre, si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che ripartorisce in noi la vita.

Archivo Meditazioni di Don Giacomo Equestre

Foto: Beghè D. (1931), Il fariseo e il pubblicano

Beni Culturali Ecclesiastici in Web

Author: Don Giacomo Equestre